Oggi, mentre ero in giro con Ale, ci siamo fermati per fare merenda e accanto a noi c’era una ragazza con il suo bambino.
Ho iniziato a scambiare quattro chiacchiere con questa giovane (molto più di me) mamma che, ad un certo punto, mi ha detto:” Eh da quando ho un figlio maschio, capisco mia suocera e la sua gelosia verso mio marito. Sarò sicuramente anche io una pessima suocera, ma che ci posso fare se amo mio figlio?”
Sono stata assalita da milioni di pensieri, ma sicuramente quello principale e che mi si leggeva sulla fronte era: “Ma sei cretina?!”
Ovviamente ho cercato di mantenere neutralità assoluta ed un approccio volto all’ascolto e non all’attacco, ma adesso posso sfogarmi.
Prima di tutto vorrei capire che significa: “Che ci posso fare se amo mio figlio?”
Mamme di figlie femmine in ascolto, sappiate che VOI NON amate le vostre figlie.
Una madre ama suo figlio e quindi immagina già che sarà una pessima suocera per la donna che il suddetto amato figlio sceglierà come compagna della sua vita.
Certo, non fa una piega: amare non significa rispettare, evidentemente.
Una madre ama il proprio figlio e quindi ne è gelosa, in modo patologico, perché se questo è il suo pensiero quando il bambino ha 15 mesi e mezzo, cosa accadrà il giorno del suo 15esimo compleanno?
Ma soprattutto una donna ha una suocera che è una Stronza patentata e cosa pensa di fare?
Di riproporne il modello, di camminare sulle sue scomode orme, di ripeterne gli schemi e di essere la famosa allieva che supera il maestro.
Per me tutto questo fa molte pieghe.
Le mamme dei figli maschi hanno un ruolo importante nella crescita di uomini sicuri di sé stessi, onesti, leali e che abbiano rispetto ed adulazione verso le donne, tutte, e più che mai verso la donna che sceglieranno come compagna della loro vita.
Il nostro è un compito difficile ed è una causa che abbiamo il dovere morale di sposare.
Per me, pensare che un giorno il nostro bel bambino diventerà grande ma sempre legato alla gonnella di mammà è un errore enorme che non dimostra amore, ma semplicemente possessione, volontà di controllare ciò che non ci appartiene, che non è di nostra proprietà e che non lo è mai stato.
I figli non sono nostri, i figli sono del mondo, della società, non sono la nostra proiezione, la realizzazione dei nostri sogni, delle nostre aspettative e delle nostre ambizioni.
Mio figlio non sarà il medico che non sono stata io, il cuoco che non sono stata (e non sarò mai, ahimè) o l’artista che avrei voluto diventare.
Mio figlio non sceglierà la sua donna per rendere felice me, non costruirà la sua casa secondo i miei gusti, non vestirà con i colori che amo, non vivrà la sua vita in funzione di me.
E so già che ci saranno dei momenti in cui mi si spezzerà il cuore a dover guardare la sua quotidianità senza poter intervenire, che ci saranno tante occasioni in cui vorrò entrare a gamba tesa nella sua esistenza e urlargli che non condivido le sue scelte, ma non potrò e non dovrò farlo.
Sarà dura vedere Alessandro crescere e spiccare il volo ma forse sarà proprio non tarpandogli le ali, e lasciandolo libero di scoprire il mondo e di fare le sue esperienze, che lo terrò più vicino a me.
L’indipendenza, non necessariamente fisica, ma mentale sarà ciò che ci terrà uniti per sempre, perché lui saprà che quell’autonomia l’abbiamo costruita insieme con difficoltà, costanza, amore e rinunce.