Prima che nascesse Alessandro io, fresca di laurea in Giurisprudenza, iniziavo a muovere i primi ed incerti passi nella pratica forense, tra un atto da (provare a) scrivere e un’udienza a cui assistere, cercavo di capire se quel mondo potesse fare per me o meno.
Ad essere sincera, la risposta ce l’avevo già ancora prima di laurearmi, avevo detto, ripetuto e promesso a me stessa che non sarei diventata un avvocato.
Sentivo questa professione poco adatta a me e al mio carattere, come spesso accade, non mi sentivo all’altezza di un simile ruolo ed in più l’empatia di cui sono naturalmente dotata mi porta a vivere sulla mia pelle certe scomode situazioni, soffrendo terribilmente quando non riesco a dare l’apporto che vorrei.
Insomma, tutti ingredienti che mischiati per bene hanno l’unico effetto di far impazzire anche la migliore delle mayonnaise.
Quando è nato Alessandro, io avevo appena terminato la pratica e, a dicembre, avrei dovuto sostenere l’esame di abilitazione alla professione, che non ho fatto anche perché le mie condizioni fisiche non erano delle migliori.
Avrei, comunque, chiuso un cerchio, messo un punto, concluso un capitolo.
Ad oggi, però, non sento che questo sia qualcosa di irrisolto nella mia vita, quindi su questo fronte mi sento molto serena.
In questo anno di vita di Tellino, ho avuto l’enorme privilegio di essere mamma a tempo pieno, grazie al “quasi marito”, che ha accettato, condiviso e sostenuto la mia scelta.
Sono consapevole di quanto sia bello ed importante assumere il ruolo di mamma in maniera totalizzante e sono conscia del fatto che la mia sia una delle più grandi fortune che potessero capitarmi.
Avere la possibilità di scegliere di restare a casa e prendersi cura dei propri figli è qualcosa di straordinario, ed è naturale che comporti delle rinunce e dei piccoli sacrifici da parte di ogni membro della famiglia.
Quando parlo di rinunce e sacrifici non penso solo ad un punto di vista economico, ma penso a quelle rinunce che, a livello psicologico, si impone una mamma a tempo pieno.
Sentirmi fortunata e privilegiata, infatti, ha innescato in me un meccanismo particolare, per il quale sento di dover svolgere questo ruolo in modo eccelso, di non poter fare passi falsi, di non potermi permettere errori, assenze o vuoti.
Ora, io so benissimo di essere lontana anni luce dall’eccellenza, che la perfezione è una chimera irraggiungibile, probabilmente, inesistente, un’illusione, ma sta di fatto che vengo assalita dai sensi di colpa quando, per la stanchezza, perdo la pazienza con Ale o quando desidererei stare a letto mezz’ora in più ma Tellino non è dello stesso avviso.
E allora penso che vorrei andare in palestra, o dal parrucchiere, o a prendere un caffè con un’amica, o leggere un libro, o scrivere ma abbandono l’idea perché mi sembra sbagliato che mia madre, o chi per lei, debba prendersi cura di Alessandro mentre io dedico il mio tempo ad altro.
Eppure se mi fermo a pensare (o se dovessi dare dei consigli ad un’altra mamma nella mia stessa situazione), mi rendo conto che se ritagliassi degli spazi per me durante la giornata, non farei un torto a mio figlio, tornerei a casa più carica, più rilassata, meno schiacciata dal peso della (seppur stupenda) routine quotidiana e potrei dare ad Alessandro la possibilità di vivere nuove sensazioni, nuove esperienze ed emozioni.
L’errore sta nel fatto di pensare che essere mamma a tempo pieno non sia un lavoro a tutti gli effetti, riflettendoci però sono giunta alla conclusione che sia un lavoro più bello di altri, ma comunque un LAVORO: con il suo carico di responsabilità, di preoccupazioni, di scadenze, di errori, senza ferie, malattia retribuita e stipendio, forse più flessibile, ma questo dipende dalle esigenze del “datore di lavoro”…
La maternità rappresenta per me un’occasione per migliorarmi, lavorare su me stessa, superare i miei limiti ed i costringimenti psicologici che la mia mente ansiosa crea.
Sto cercando di superare questi pensieri non proprio positivi, di razionalizzare e di essere meno rigida e severa con me stessa perché, onestamente, credo che sia un dovere verso mio figlio ed il mio compagno.
Voi cosa ne pensate? Siete mamma e a tempo pieno o mamme lavoratici? Riuscite a ritagliarvi del tempo da dedicare a voi? Come organizzate le vostre giornate?
Molto molto interessante il.tuo blog!!! Complimenti!
Grazie Daniela, grazie di cuore!
Articolo molto interessante! Credo che i sensi di colpa siano parte integrante delle madri, a tempo pieno o lavoratrici.
Io sono mamma di 2 e lavoratrice a tempo pieno e ogni tanto mi sento in colpa perché non posso portare Bianca a danza o perché deve frequentare il dopo scuola. Comunque mi rendo che lavorare mi fa bene, mi aiuta a staccare e probabilmente se fossi una mamma full time sarei molto più nervosa, quindi grande rispetto per chi lo fa. Tempo davvero per me al momento non pervenuto… parrucchiere ogni 6 mesi! Vorrei fare un’attività fisica ma stando al lavoro tutto il giorno mi spiace sacrificare 1h con le mie figlie…
Ciao Federica, grazie per aver letto e per il tuo commento. Hai proprio ragione, i sensi di colpa fanno parte dell’essere mamma, poco importa se lavoratrici o meno, ci colpevolizzeremo comunque. Essere mamma a tempo pieno ha i suoi pro ed i suoi contro, un po’ come tutte le cose, e capisco cosa vuoi dire quando scrivi che lavorare ti fa bene, perché ti dà la possibilità di staccare la spina, condivido il tuo pensiero!
Complimenti!!! ⭐️Molto interessante 👏🏻👏🏻👏🏻
Complimenti , molto interessante! 😘😘😘
Grazie di cuore, Angela!