La primavera è arrivata.
Almeno teoricamente, visto che il maltempo sembra non volerci dare tregua.
Qui in Sicilia, nelle scorse settimane, abbiamo potuto godere di un assaggio di primavera (inoltrata), con temperature più che miti, un sole splendente e tanta voglia di uscire e correre in riva al mare, ma è stata un’illusione: il vento è tornato e le nuvole hanno coperto il sole.
In questo periodo dell’anno, però, mi ritrovo sempre a desiderare di fare lunghe passeggiate, di riporre i giubbotti invernali nell’anta in alto dell’armadio, indossare t-shirt leggere e i calzini corti.
Questi desideri, al momento, sono più forti che mai dentro di me, sento proprio l’esigenza di essere coccolata dal tempo e poi, adesso, Alessandro cammina, è più autonomo ed io non vedo l’ora di portarlo al mare.
Qualche giorno fa, ho letto un articolo molto interessante sull’Outdoor Education che è un orientamento pedagogico, noto a livello internazionale, facente parte della tradizione dei Paesi del Nord Europa e del Nord America, che mira a valorizzare lo spazio esterno, ponendolo sullo stesso piano di quello interno. L’obiettivo, infatti, è proprio quello di considerarlo a pieno titolo come ambiente di vita e di apprendimento e non solamente di “sfogo”.
Molto spesso, infatti, l’attività fuori casa, all’aria aperta, viene considerata esclusivamente come valvola di sfogo: quando i bambini sono molto attivi (ma va?! Sono bambini!), spesso, ai genitori si consiglia di fargli trascorrere almeno un’ora al giorno fuori, di lasciarli liberi di esplorare, di camminare e correre.
In questi casi, però, noi genitori veniamo presi dallo sconforto perché “é inverno, fa freddo, piove, nevica, grandina, c’è il sole ma le temperature sono basse” come si fa a portarli in giro?
Ripieghiamo per luoghi al chiuso: la ludoteca, l’asilo, il centro commerciale…
E’ vero i bambini in questi posti sono liberi di scorrazzare, di scatenersi, giocare e sperimentare, e noi genitori ci sentiamo più sicuri perché pensiamo che ci siano meno possibilità che prendano un “colpo d’aria” o di farsi male.
Il punto è che in questi luoghi ci sono (forse) meno pericoli, ma (sicuramente) anche meno stimoli per i nostri figli.
I bambini per natura amano stare all’aria aperta e gli spazi esterni amplificano l’esperienza sensoriale, permettendo osservazioni impossibili al chiuso, stimolano la curiosità verso il mondo animale e vegetale, il ragionamento ed il problem solving.
Le neuroscienze confermano che gli stimoli offerti ai piccoli nel periodo sensibile che va da 0 a 3 anni costituiscono le fondamenta della loro vita futura.
l’educazione attiva all’aria aperta permette di fare tutte quelle esperienze a cui il bambino ha diritto per sviluppare l’intelligenza psicomotoria e migliorare la percezione del sé corporeo anche correndo qualche ragionevole rischio.
E’ innegabile, poi, che i bambini fuori sono più allegri, socievoli, curiosi e perfettamente a loro agio.
Il nostro pediatra dice sempre che bisogna uscire e non per andare in un’altra casa, i luoghi chiusi fanno peggio dell’aria aperta, i virus ed i batteri, infatti, si insinuano più facilmente.
Io, in effetti, mi rendo conto che questa sia una gran bella verità, ma poi l’ansia del vento, del freddo, e trallallero trallallà vince SEMPRE.
Spesso considero l’ambiente esterno ostile, ma devo riuscire a sfatare i miei pregiudizi iperprotettivi e fare quel salto necessario per superare le mie paure da adulta.
I bambini della generazione touch, hanno più che mai bisogno di stare all’aperto, devono essere lasciati liberi di esplorare, tenendoli d’occhio senza mai lasciarli soli.
Voi che genitori siete? Vi fate influenzare dalle condizioni meteo nel programmare la giornata tipo dei vostri figli?