Perdere, si sa, non piace a nessuno, tuttavia è inevitabile: non si può sempre vincere, non si può sempre eccellere, non si può essere sempre i migliori.
Molti bambini, vivono la sconfitta in modo eccessivamente negativo, non riescono a gestire la frustrazione, piangono, urlano e strepitano, il compito di noi adulti è di aiutarli ad accettare di aver perso, senza prenderli in giro, ma rispettando i loro sentimenti.
Ricordiamo sempre che ogni bambino ha la sua personalità e su questa si innesta tutto ciò che nel corso della vita impara.
E’ naturale che vincere sia gratificante, così com’è naturale essere delusi dalla sconfitta, sono gli eccessi di insofferenza che devono destare sospetto, in quanto potrebbero (o anche no) mascherare paure, angosce e timori.
Come avevo già detto qui, quando il bimbo è piccolo, cioè fino ai 3-4 anni, è egocentrico, non ha il senso della condivisione, declina tutto in prima persona e nell’attesa di scoprire che l’universo non gli appartiene, dà libero sfogo al suo istinto. Dunque, se in questa fase, vuole sempre vincere, non c’è da preoccuparsi.
E’ dai 4-5 anni che la sconfitta inizia a far parte del gioco.
Se il bambino frequenta l’asilo, in famiglia viene indirizzato alla condivisione, ha una sua vita sociale, impara a comprendere che per ottenere qualcosa deve assumere un comportamento adeguato, una strategia.
Se in questa fase persiste nel voler vincere a tutti i costi, allora dobbiamo cercare di capire cosa sta succedendo al nostro bambino e cosa gli provoca l’ansia della sconfitta.
Il piccolo, infatti, potrebbe semplicemente fare un capriccio, oppure esprimere una carenza più forte.
Può capitare, infatti, che il bambino pensi che perdere in un gioco, voglia dire perdere una parte di sé: stima, affetto, l’amore dei genitori. Questo deve suonare come un campanello d’allarme.
Se la reazione aggressiva alla sconfitta si verifica una tantum, può voler dire che il piccolo ha investito molto su quel gioco, che ci teneva tanto, forse troppo, il compito dei genitori, in questi casi, è proprio quello di consolarlo, di spiegargli che non tutto è perduto, accompagnarlo nel processo di dolore e accettazione.
Quando, invece, la reazione è sempre negativa di fronte alla perdita, allora, è possibile che il bambino stia tentando di costruirsi un mondo dove il dolore non esiste, appoggiandosi ad oggetti esterni. Il gioco vale quanto la mamma, quanto il papà, diventa tutto.
E’ importante non far sentire sbagliato il bambino, non prendersela con lui, capire che c’è un disagio, magari, parlare con uno psicologo per capire come agire, come aiutarlo e reindirizzarlo verso la giusta strada.
I bambini hanno una psicologia molto più complessa di quanto noi adulti pensiamo, sono spugne, ricettivi e sensibili, abituiamoci al continuo dialogo, parliamo con loro di tutto, non sottovalutiamo le loro capacità di comprensione, mettiamoci nei loro panni, facciamoli sentire compresi e non lasciamoli soli per paura di affrontare certi discorsi, saremo sorpresi dalle loro risposte.