Sono stata educata in un modo, secondo me, giusto, lo stesso che sia io che Quasi Marito vorremmo adottare con Alessandro: libero e scevro da pregiudizi e preconcetti che nascono dal tessuto sociale e dall’ambiente in cui si vive.
I miei genitori, i miei nonni, le persone che mi stavano più vicine e a cui riconoscevo il ruolo di educatore, mi hanno inculcato la sana mentalità del “vivi e lascia vivere”, mi hanno insegnato a non tirare colpi bassi per il solo scopo di vedere qualcuno cadere, a non criticare perché mossa dall’invidia, ad incassare in silenzio le cattiverie perché scendere a certi livelli non è affatto liberatorio, al contrario, dopo i primi momenti di soddisfazione per l’essermi tolta quel sassolino dalla scarpa, subentra il malessere per aver fatto il gioco di chi nella cattiveria ci sguazza.
Sempre più spesso, però, mi rendo conto che la gentilezza è, ormai, un valore sottovalutato, quasi sconosciuto a molti, che la critica si va facendo sempre più aggressiva, mirata, somigliante più ad una sentenza di condanna che ad un personale parere.
Non faccio parte di quella cerchia di persone secondo le quali: “se dici le cose con educazione, puoi dire quello che vuoi!”.
Eh no, non è cosi, c’è il buonsenso, c’è il buongusto, c’è il sapersi fare una manica di fatti propri, c’è il saper stare al proprio posto, c’è il fatto che del proprio punto di vista velenoso non è necessario rendere edotto il mondo, tutte cose che impongono di imparare a tacere quando è il momento di tacere.
L’educazione non è saper dire le cose in modo giusto, anche perché poi vorrei capire quale sia il modo giusto: se posto una mia foto e mi vedete magra (o grassa, o con pochi capelli, o con troppi capelli, ben vestita o poco stilosa), ad esempio, il commento “sei un’anoressica di merda” non sarà più violento del “Tesoro, sei bellissima ma un po’ troppo magra!Che ne dici di mangiare?”, anzi, troverò il primo meno ipocrita ed il secondo ugualmente offensivo e fine a sé stesso, perché pubblicando quella foto non volevo il parere di nutrizionisti senza laurea, ma semplicemente condividere quel momento della mia giornata.
Questo è solo un esempio, potrei farne tantissimi altri perché, ahimè, il web è pieno di commenti al vetriolo, di opinioni condivise senza il minimo tatto, di pensieri che prendono forma grazie ad una tastiera e ad una connessione internet e che, il più delle volte, provengono da persone che dicono quanto sia importante combattere il bullismo perché sentirsi vittime è facile, ma dichiararsi carnefici è scomodo.
Sei bullo se vai per strada ed inizi ad insultare un passante, un compagno di classe, un conoscente; sei bullo se prendi a botte chi è meno forte di te, se ridicolizzi o ti approfitti del prossimo; sei bullo se fai gruppo, anzi branco, con altre persone scagliandovi contro il malcapitato di turno e sei bullo anche quando in pigiama o in tuta e pantofole, nel comfort di casa tua, accendi il computer e ti trasformi in un leone da tastiera inacidito ed incattivito dalla consapevolezza che quello sarà l’unico momento di “gloria” della tua giornata, o forse, della tua vuota esistenza.
La gentilezza non ha mai ucciso nessuno.
Dalla gentilezza si gettano le basi per un mondo migliore e fino a quando non lo capiremo, non riusciremo a renderlo un posto più bello ed accogliente.
Siate gentili, siate il cambiamento che volete che si verifichi.