Erano le 12:19 dell’1 Febbraio 2018 quando la mia vita è cambiata irrimediabilmente, travolta da uno tsunami di dolore e incredulità.
Una telefonata.
Un soffio.
Un istante.
Un anno.
Un istante di terrore in cui rivolgendomi a Dio ho chiesto perché lui, perché noi, perché!
Perché adesso.
Un istante di folle e lacerante dolore che si è perpetrato fino ad oggi, per un intero anno.
Perché, in fondo, cos’è un anno davanti alla consapevolezza di dover vivere la vita intera senza di lui?
Cos’è un anno, davanti al sempre presente desiderio che Alessandro si ricordi di un nonno che è andato via troppo presto?
Cos’è un anno dinanzi ai sogni di una figlia e di un padre che vengono spezzati senza possibilità alcuna di poter continuare ad esistere?
Cos’è un anno quando non hai potuto dire addio? Quando sei arrivata troppo tardi?
Per tutti si è trattata di un’amorevole coincidenza, per me, continua a trattarsi di una diabolica coincidenza, perché se quel giorno, come ogni giorno, fossi andata a trovarlo, gli avrei detto Ti Amo per l’ultima volta, l’avrei salutato.
E invece, era già mezzogiorno, Alessandro era con mia madre, ma da lì a poco sarebbe tornato a casa per il pranzo ed io, a pochi passi da lui, ho deciso di tornare a casa.
19 minuti dopo era andato via. Per sempre.
Sono arrivata tardi, accolta da una certezza che avrei voluto fosse disattesa, da un’assente speranza, ad sguardi sgomenti e commossi, da silenzi fin troppo eloquenti.
Sono arrivata tardi, mentre c’era ancora tanto da fare, da dire, da vivere.
Sono arrivata tardi.
Un soffio.
Un istante.
Un anno.
Eternamente ti porterò con me.