Un paio di giorni fa, mentre navigavo distrattamente su internet, ho letto da qualche parte che la gestazione di una donna dura 18 mesi.
In realtà, quest’informazione non mi suonava nuova, ma ho voluto leggere l’articolo per intero.
Dunque, 18 mesi: 9 mesi di gravidanza, o endogestazione, 9 mesi fuori, o esogestazione, momento di simbiosi tra madre e figlio, in cui entrambi NATURALMENTE ricercano il contatto fisico come BISOGNO NATURALE.
L’autore affermava che i 9 mesi post parto andrebbero suddivisi anch’essi in tre trimestri: il primo fatto di caos e difficoltà, sia per la mamma che per il neonato; il secondo di benessere e di routine che iniziano a consolidarsi, il terzo di separazione e, per tale ragione, può essere caratterizzato da pianti inconsolabili del bambino dovuti alla paura del distacco.
Guardare sotto questa luce i mesi di esogestazione può aiutare noi mamme a gestire meglio il post-parto: periodo tanto meraviglioso, quanto difficile e ricco di emozioni contrastanti, talvolta, inspiegabili.
Io, avendo già un figlio, ho potuto provare sulla mia pelle le traversie di una neo mamma, ho attraversato le “meraviglie” del post-parto, mi sono sentita inadeguata, incapace, incompresa, poco grata alla vita per il semplice fatto di non essere “nata imparata” a prendermi cura del mio bambino.
Ho passato tanto tempo a chiedermi il perché non fossi più pronta, più organizzata, più coraggiosa, insomma, più tutto e meno me stessa: semplicemente una mamma senza esperienza ma con tanto amore da dare.
E mica lo sapevo che l’amore era sufficiente a rendermi la madre giusta per mio figlio.
E mica qualcuno si è preso la briga di dirmelo, anzi…
Erano tutti pronti ad elargire consigli (non richiesti) e pareri, erano tutti pronti a fare osservazioni non proprio costruttive.
Non mi sono lasciata guidare dall’istinto, perché non è stato più forte delle mie paure, delle mie insicurezze.
“Non tenerlo in braccio, poi si abitua” mi dicevano, mentre cullavano il mio bambino… Evidentemente, il problema era che si sarebbe abituato alle braccia della sua mamma, che cosa sconvolgente!
“Mettilo di fianco a dormire, è la posizione più sicura” mi consigliavano, mentre a me sembrava più giusto metterlo supino.
“Devi dargli dei colpetti alla schiena per fargli fare il ruttino” affermavano, mentre io lo tenevo in braccio solo per coccolarlo dopo aver mangiato, mica sto ruttino è obbligatorio.
“Non ti fissare con l’allattamento al seno, dallo a me che gli dò il biberon” mi consigliavano, mentre io desideravo allattarlo sopra ogni cosa…
E… non andavo bene perché “Ero troppo gelosa di mio figlio”, volevo sempre tenerlo io e non ero disposta a condividerlo “mettendo seriamente in pericolo lo sviluppo psico-fisico del mio bambino”.
Cari tutti, imparate ad accettare la realtà dei fatti: quando nasce un bambino, nasce una mamma e tutto ciò di cui, entrambi, hanno bisogno sono l’uno l’abbraccio dell’altra, niente di più, non le braccia estranee.
Amici, parenti, vicini di casa, conoscenti che desiderate avere un ruolo nella vita di un neonato, sappiate aspettare e, nel frattempo, rendetevi utili aiutando la mamma: sostenetela, tenete le vostre considerazioni per voi, coccolatela e, soprattutto, rispettate le sue scelte… dopotutto è l’unica che, anche sbagliando, conosce, pur talvolta non essendone consapevole, i bisogni più reconditi del suo bambino.