Come intrattieni Ale in questi giorni di quarantena?
Cosa fate di bello per trascorrere le giornate?
Proponi attività a tuo figlio? Quali?
Queste sono alcune delle domande che mi vengono poste più spesso, su Instagram, da quando è iniziata la quarantena.
La mia risposta? Sono sincera, sempre, e anche in questo caso non improvviso bugie bianche: in questo tempo sospeso mi sto rivelando una mamma molto lontana dal metodo montessoriano… e non solo, direi lontana da qualsiasi altro metodo esistente.
Le nostre giornate di quarantena scorrono, a volte, lente e altre volte veloci. E, onestamente, non so da cosa siano esattamente determinate la lentezza e la velocità. Probabilmente, esclusivamente, dalla nostra percezione, dalla stanchezza, da come è passata la notte, dal livello di riposo.
No, non organizzo attività e giochi.
No, non ho una tabella di marcia da rispettare se non per quelle cose di routine “necessaria”: colazione, pranzo, merenda, cena, igiene personale e ninna.
No, non invento cose, vado a naso dopo aver accertato l’umore di Alessandro.
Mi faccio guidare da mio figlio, lo assecondo nelle sue esigenze di vicinanza e contatto che, in questo periodo, sono diventate fortissime, lo lascio libero di giocare con le sue amatissime macchinine e lo ascolto mentre crea storie, incontri tra amici, incidenti.
Balliamo e ascoltiamo musica: con me italiana, con papà straniera.
Impariamo i colori in inglese, i numeri, alcune parole: perché l’inglese gli piace ed è incuriosito.
Leggiamo dei libri, corriamo in terrazza, prendiamo il sole, mangiamo e ci annoiamo.
Lavoretti, disegni e art attack pochi, pochissimi, chè io non ho questa grande vena artistica e mio figlio pare aver preso da me!
Con colla, forbici, tempere, glitter, pasta di sale e simili, ci proviamo, ma non possiamo assicurare un buon risultato.
Ci intratteniamo così: tra un bacio e un abbraccio, tra la noia e le risate, tra canti e balli.
E no, annoiarci non ci spaventa, non ci preoccupa.
Non ci preoccupa neanche il fatto di dover per forza riempire questo tempo sospeso, di dover stimolare obbligatoriamente un bambino di 3 anni, di lasciare spazio “vuoto”, che vuoto non è mai perché si riempie di sorrisi, di sguardi e di quella sensazione benedetta che ti fa sentire in pace con il mondo anche in un momento difficile come questo.