I capricci NON esistono!
Questa il mio pensiero definitivo a cui sono giunta durante una delle mie riflessioni, scattata dopo un fraintendimento con Cosimo rispetto a…non mi ricordo neanche più!
Ho ormai letto svariati libri, articoli e ebook sui capricci, un argomento delicato e complesso allo stesso tempo che sta molto a cuore ai genitori, principalmente perché sono la “messa alla prova” per eccellenza.
Oggi, dopo numerosi studi, gli esperti ci svelano una nuova consapevolezza (totalmente opposta rispetto a quella dell’educazione tradizionale) che, se vogliamo, ha creato ancora più confusione e destabilizzazione. Perché? Perché no, non ci aspettavamo che i capricci fossero pure e semplici richieste d’aiuto. Eppure è così!
In fondo era facile pensare che il capriccio fosse un semplice modo per attirare l’attenzione, per testare mamma e papà, per imporre il proprio volere di “bambino egoista”. Semplice perché se tutti i capricci avessero avuto questo significato, allora potevamo individuare le strategie sempre giuste, da applicare in ogni situazione, indipendentemente dai bambini.
Ma in fondo cari genitori, lo sappiamo, o almeno lo dovremmo aver accettato una volta per tutte, che non c’è niente di scontato e facile nel capire nel profondo la creatura che abbiamo messo al Mondo.
E lo so che le nostre certezze vacillano se neanche i capricci sono più capricci. Sorgono tutta una serie di domande che, invece di aiutarci a concentrarci nella risoluzione dei piccoli drammi quotidiani, aggiungono criticità nella scelta dell’approccio educativo da mettere in atto. Come rispondere a queste richieste se a volte (spesso) non sappiamo decifrarle? E siamo proprio sicuri che non esistono regole univoche e universali?! Come possiamo individuare i metodi che fanno al caso nostro? Ne saremo capaci? E se poi tutto cambia? (…e cambia eh, lo sappiamo!).
Niente paura! Se vogliamo possiamo farcela anche senza ricette e consigli preconfezionati. Basta riflettere e confrontarci. Un percorso arduo, ma assolutamente fattibile.
Cerchiamo adesso di arrivare al punto: i capricci non sono capricci in quanto urla, pianti e voci grosse non nascono così, tanto per passare il tempo. Anzi, sono momenti di cui il bambino farebbe volentieri a meno, se solo si sentisse ascoltato. Non c’è nessun divertimento dietro, ma al contrario: tanta ansia e frustrazione perché non si riesce a capire e a far capire cosa sta accadendo a livello emotivo. Prima di proseguire nel flusso di pensieri facciamo un esempio.
Un bambino risponde ad un nostro divieto. Seguendo la vecchia logica educativa saremo portati a credere che nostro figlio ci stia sfidando. Ma esattamente, che senso avrebbe una sfida? Per cosa poi? Tutto è molto più semplice: sta esponendo la sua visione delle cose. Magari non ci piace il modo in cui lo dice, è arrabbiato, ha il volto “brutto”. Ma allora cerchiamo di guardarci dal di fuori, non è che anche noi stiamo parlando ad alta voce e con fare alterato? Ricordiamo il principio-base secondo cui che i nostri bambini ci prendono ad esempio, sempre: è la pura verità!
Quello che in definitiva sto cercando di dirvi è che i capricci rimangono tali se il nostro sguardo rimane fermo.
Solo se ci mettiamo in discussione ed ascoltiamo apertamente il nostro bambino, tutto prende un’altra piega.
Dovremo iniziare usando un altro termine, le parole giuste assegnano il significato corretto al vissuto che stiamo vivendo. Siccome abbiamo capito che il capriccio non è un vezzo, forse INCOMPRENSIONE rende meglio l’idea. Del resto è così. C’è uno scambio di frasi, domande, comportamenti, emozioni, parole dette e non-dette, che fanno capire che in atto c’è un caos di pensieri e ragioni.
Il passo successivo sarà cambiare il nostro assetto comportamentale. Mettere ordine nella confusione significa partire dal presupposto che il bambino è in buona fede, sta cercando di comunicarci qualcosa ma non ci riesce. Sta a noi adulti prendere in mano la situazione e provare a sbrogliarla. Il nostro metodo educativo dovrebbe esprimersi attraverso strategie precise: mettersi alla stessa altezza, creare un contatto fisico (come una mano sulla spalla), guardarsi negli occhi, fare domande, aiutare a verbalizzare. Il tutto senza giudicare, ma cercando di provare pura empatia. Provare ad empatizzare in questo caso equivale a dire: <
Tutto ciò che avverrà dopo sono certa che vi stupirà!
La mia speranza adesso è che alla prossima INCOMPRENSIONE con vostro figlio vi verrà in mente qualche parola scritta qui, perché sarà il segno che state iniziando a cambiare prospettiva…
Sara.